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Start up e incubatori: un futuro di successo?

luglio 4, 2018
Molti libri si dilungano sull’esperienza eccellente delle start up in Africa, sul loro dinamismo e sulla loro crescita esponenziale. È purtroppo una visione superficiale. Certamente esistono esperimenti di successo, ma la realtà è molto diversa.
Nel continente africano, l’apparenza formale, architettonica e culturale dell’incubatore di start up lo rende molto simile a quelli nati in USA o in Europa, ma gli investimenti, qui, appaiono scarsi e le exit quasi inesistenti (l’exit, per intenderci, è la vendita della start up: si verifica quando la società e il suo prodotto sono così buoni da attrarre investitori che ne comprano delle quote per continuare a svilupparlo o per immetterlo in una IPO per la Borsa).
In Usa c’è un detto: su 10 start up che falliscono, ce n’è una che le ripaga tutte con gli interessi. Quando ci si confronta con queste realtà africane, spesso non si intravede una sola vendita significativa. Gli incubatori invece “vendono” i loro servizi come gli uffici, l’assistenza tecnologica, il web design, l’amministrazione come fossero la loro unica ragione di vita economica. La ricerca dei soldi per far decollare le start up appare essere l’ultima delle loro preoccupazioni, che è la prima nei paesi più evoluti digitalmente.
A conferma di ciò abbiamo visitato “iHub”, uno dei primi aggregatori di start up africane.

Herik Hersman, uno dei mentori di questa Savannah Silicon Valley, ebbe l’intuizione nel 2008 al Bar Camp’s Nairobi, a cui parteciparono tantissimi giovani e piccole start up. Colpito dal dinamismo e dall’entusiasmo riscontrato, insieme ad Ushaihidi, Rotich e Kobia, la squadra che aveva trasportato la banda digitale dagli Emirati Arabi a Mombasa, Herik Hersman decise di lanciare “iHub” che presto divenne un punto di riferimento cruciale per il panorama africano, un luogo in cui tecnologia e inventiva avrebbero potuto trovare un terreno fertile nel quale incontrarsi, lavorare, condividere.
Abbiamo incontrato personalmente il team di iHub in un viaggio a Nairobi, in una struttura, ancora in via di completamento, su due piani, all’avanguardia, simile nell’aspetto ad uffici che potrebbero trovarsi a San Francisco, Londra, Milano. In quell’occasione, le principali discussioni hanno ruotato intorno ai numeri, che in questo settore dipendono dalla capacità di raccogliere investimenti e, allo stesso tempo, dalla capacità di vendere la start up sul mercato e chiudere l’affare con una buona exit.
Basti pensare ad Airbnb, Uber, Facebook… Miliardi di dollari di investimenti e oggi miliardi di dollari di capitalizzazione.
Durante il meeting con il team di iHub, le risposte sono state parecchio evasive, modeste e poco convincenti.
La seconda realtà incontrata è stata quella di un incubatore concorrente, Nailab, dal sottotitolo lampante: “Changing Kenya one startup at a time”. Si tratta di una partecipata dallo Stato, dalla struttura simile a quella di iHub e sostenuta da tutto il gotha dell’innovazione africana, da Accenture a Delloite, da Microsoft A Nation Media. Oggi sotto il suo tetto lavorano 24 start up.
Nonostante gli entusiasmi e le belle esperienze raccontate, siamo usciti da entrambi gli incontri con una sensazione simile a quella provata di fronte agli incubatori italiani: manca ancora qualcosa: la maturità del sistema digitale è incerta e prematura e le forme sono rispettate, ma la sostanza non è ancora raggiunta. La strada appare ancora lunga.
Ma intanto è iniziata…
Tutt’altra impressione ha fatto invece Esoko, piattaforma tecnologica nata in Ghana, che oggi serve 15 diversi Paesi africani.
Tramite l’utilizzo di un semplice cellulare, Esoko offre ai suoi clienti informazioni sul mercato agricolo, sulle tendenze e sui prezzi di vendita. Inizialmente, permetteva l’invio dei prezzi di mercato via sms e, tramite un call centre, supportava le lingue locali e introduceva temi legati all’alfabetizzazione. Nel corso del tempo, sono state aggiunte delle segnalazioni sul meteo e dei consigli sul raccolto e si è iniziato a mettere in contatto i compratori con i venditori. L’azienda ha poi sfruttato la sua piattaforma tecnica e la sua esperienza nel campo per raccogliere informazioni, utilizzando per la maggior parte tablet e smartphone. Oggi, Esoko fornisce ai piccoli proprietari l’accesso alla finanza e a conoscenze utili attraverso il mercato virtuale e si impegna per reinvestire la maggioranza delle entrate nell’impresa, per crescere rapidamente e per massimizzare il proprio impatto sulle comunità rurali.
Esoko ha dimostrato di avere un impatto positivo sul rendimento delle imprese dei clienti, con incrementi di produttività. Oggi ha raggiunto la soglia di sostenibilità con 10.000 abbonati complessivi e ha generato concorrenti come MFarm in Kenya, un sito simile, forse più semplice da utilizzare, nato con l’intento di connettere venditori e acquirenti sulla piattaforma online: un vero e proprio marketplace agricolo in cui verrà lanciato anche un programma di formazione su come piantare sementi e rendere più produttivo il terreno.
Una dinamica però emerge su tutte: la tecnologia africana vince quando nasce per rispondere a bisogni tipici del contesto locale, quando propone soluzioni africane a problemi locali. Quando imita, senza riuscirci, le tecniche dei Paesi occidentali, rischia di essere inutile.

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