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Le tasse in Africa: il circolo virtuoso diventa vizioso…

maggio 29, 2018
Uno Stato funzionante dovrebbe essere in grado di raccogliere fondi attraverso una corretta tassazione e di redistribuirli attraverso l’offerta di servizi pubblici: sicurezza, educazione, pensioni, infrastrutture.
Per fare un esempio, lo Stato italiano incassa ogni anno 480 miliardi di euro tra imposte dirette, imposte indirette e tasse societarie. Produce inoltre 74 miliardi di altri ricavi, con un saldo pari a 570 miliardi di euro, che vengono spesi in maniera diversificata: 260 miliardi in pensioni, 120 in sanità, 40 in scuola e università, a cui occorre aggiungere altri 40 miliardi in conto capitale che servono a finanziare le infrastrutture, come recitano i dati del bilancio programmatico dello Stato italiano 2016-2018.
In questo caso è corretto dire che lo Stato si prende cura dell’educazione dei cittadini italiani, della loro salute, del loro futuro al termine della vita lavorativa. Mette insomma a loro disposizione quello che in generale viene definito “welfare”. Certo non per generosità: i cittadini pagano questi servizi durante la loro vita con le tasse.
Il meccanismo è identico in tutti i Paesi del mondo occidentale, con pesi differenti per ogni settore. Il circolo virtuoso di un paese consiste quindi nel permettere ai propri cittadini di raggiungere un reddito pro capite sufficiente a produrre tasse tali da pagare i servizi di cui la popolazione ha bisogno. Possiamo affermare che in questo caso si è realizzato un equilibrio che permette ai cittadini di beneficiare di una buona offerta di servizi.
In Africa, specie nella regione sub-sahariana, questo equilibrio non solo non è stato raggiunto, ma la forte pressione demografica rischia di rendere il traguardo più lontano.
La distribuzione delle tasse nei diversi paesi africani è quasi “ridicola”: a eccezione del Sud Africa, che presenta un rapporto “occidentale”, nelle altre realtà analizzate il valore si aggira intorno al 15% del PIL (a esclusione del 4% in Nigeria, il cui sistema però fa eccezione a causa delle vendite di petrolio, per le quali il Governo incassa dividendi che vengono accreditati come tasse).
Ogni abitante africano, adulto o bambino che sia, ha un reddito pro capite basso, di circa 1.800 dollari l’anno. Le tasse sarebbero comunque insufficienti con questi redditi, anche se l’intero continente versasse in una condizione più o meno omogenea. Sono cifre che evidentemente non permettono l’innescarsi del circolo virtuoso appena valutato.

È importante inoltre tenere presente un ulteriore fattore: se è vero che il costo del lavoro in Africa è basso, non altrettanto si può dire di sanità e infrastrutture, ambiti che presentano costi più vicini a quelli occidentali, se non superiori.
In questo caso, quindi, esiste un canale a doppia velocità: le tasse vengono pagate sugli stipendi africani, ma spesso i costi dei servizi rispondono a logiche occidentali. Se a questo controsenso si aggiungono i dati sull’incremento demografico e sull’allungamento dell’età media di vita, il rischio che il sistema collassi e non trovi una via di sviluppo praticabile si fa ancora più concreto.

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