Migrazioni, Post

Un grande piano a medio termine: l’“adozione” dell’Africa.

agosto 7, 2018
Nei prossimi anni la migrazione interesserà prevalentemente tre aree: il Maghreb, che è economicamente impoverito, il Sahel (Niger, Ciad, Mauritania, Sudan, etc.) su cui insiste anche la parte alta della Nigeria percorsa dalle tribolazioni religiose di Boko Haram e dei paesi della costa occidentale, e infine i profughi politici dell’Eritrea e della Somalia.

Su questi paesi e in queste aree vanno fatti confluire gli aiuti europei in un piano che non li distribuisca a pioggia e che non vada a finire nelle tasche dei governi. Attuare quindi una politica alla cinese: infrastrutture contro aiuti, knowhow contro soldi, commercio tra le parti. Se un paese ha bisogno, occorre stare in loco a spendere i soldi per realizzare il bisogno, con le nostre aziende e con la loro manodopera.
Non possiamo certo permetterci di fare in due righe un piano di dieci anni che coinvolge decine di paesi, rischiando giustamente di essere presi per velleitari, ma una riflessione e un consiglio possono essere dati.
I numeri del futuro che fanno immaginare una migrazione da incubo sono conosciuti da tutta Europa, la pericolosità politica di una immigrazione scoordinata e la necessità di avere un’immigrazione qualificata per il calo demografico europeo, pure; il fatto che le elezioni nazionali in tanti paesi si giochino sull’immigrazione e sulla disuguaglianza sono fattori politici noti a tutti i giocatori. Quindi, se queste assunzioni sono corrette, un organismo come l’Europa dovrebbe mettere i rapporti con l’Africa, la sua migrazione e il suo sviluppo interno come uno dei temi più importanti della sua agenda e investire miliardi di euro per risolvere il problema Africa. Anzi dovrebbe – detto con uno slogan semplicistico – “adottare” l’Africa.
Dovrebbe aiutarla come un bambino non troppo grande, spingerla allo sviluppo possibile e sostenibile, darle un metro democratico e una consapevolezza politica maggiore, farla crescere come un figlio, con severità e giustizia. Gli investimenti con i giusti ritorni aiuteranno gli africani, creando e moltiplicando un meccanismo economico che loro non potrebbero mai realizzare, invece di attendere che gli africani arrivino sulle nostre coste, nella speranza di riuscire a bloccarli.
Occorre vivere l’intervento non come un aiuto umanitario a dei poveretti, ma come l’investimento collaborativo del secolo, per far sopravvivere il loro e insieme il nostro continente. Siamo troppo collegati per non immaginare un intervento congiunto e una sorta di mentorship continuativa: una sorta di adozione, appunto.
Se il continente africano non sarà aiutato in questo modo adulto e maturo, il dramma della demografia e della disoccupazione arrecherà all’Europa un danno inimmaginabile; se l’Europa poi persiste nelle paure e nel ridicolo atteggiamento di chiusura attuale, la via futura sarà segnata dagli incubi di cui abbiamo parlato.
Non capire che un piano di “adozione” per l’Africa sia una delle priorità, se non la prima, è cieco e colpevole. Se non lo capisce l’Europa come organismo politico, i paesi del Mediterraneo dovrebbero dare la sveglia ai bei sonni del Nord.
La “guerra d’Africa”, cioè una sopravvivenza normale e non da incubo di questo enorme e povero continente, è la sfida umana e politica di questo secolo; per l’Europa e forse per il mondo. Non affrontarla con decisione e in modo costruttivo per tutti, potrebbe solo ritorcersi contro di noi.
Non esiste più l’opzione cinica: “sfruttiamo ancora una volta l’Africa”. Questa volta è l’ultima.
E l’Italia in tutto ciò è in primissima linea.

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