Africa: ai margini del ballo della globalizzazione.
febbraio 16, 2018
Questa foto che riproduce il mondo in termini di PIL mostra la dimensione “reale” dell’Africa: nonostante la sua estensione, il continente nero, dal Marocco al Sud Africa, passando per le Mauritius e San Tomè, vale appena il 3% del PIL mondiale (meno della Francia e un po’ più dell’Italia). La sua superficie ricopre il 30% del Pianeta con una bassissima densità demografica (solo 33 abitanti per kmq). Parliamo di un gigante dal punto di vista territoriale, ma di un nano irrilevante sul piano economico.
Dopo anni di letargo, tra il 2000 e il 2010, il continente ha vissuto una crescita economica rilevante grazie all’esportazione delle materie prime; nei 5 anni successivi il miglioramento è stato importante, anche se rallentato sensibilmente a causa degli effetti della recessione mondiale e delle primavere arabe. .
Le risorse naturali attirano l’attenzione delle potenze estere imprimendo un nuovo stimolo, che sta iniziando a dare riscontri positivi allo sviluppo africano. Chi ha intuito meglio degli altri le potenzialità di sviluppo del continente è stata la Cina che fin dagli anni ‘80 ha sostenuto i paesi africani che si erano disallineati dall’Occidente per ragioni ideologiche o di opportunità. La Cina è stata così attenta e vigile da diventare negli anni uno dei maggiori finanziatori del continente nero e allo stesso tempo il più credibile ed efficace importatore: due terzi del greggio prodotto tra Nigeria, Angola, Sudan e Repubblica Democratica del Congo arrivano al gigante asiatico.
Ma allo stesso tempo, l’Africa riceve dal gigante asiatico benefici che nessun altro Paese è in grado di darle e prevalentemente gli incentivi le arrivano attraverso tre modalità: gli acquisti di Stato come petrolio e risorse naturali; la costruzione di strade e grandi infrastrutture da parte di imprese cinesi, quasi sempre a partecipazione statale; l’apertura di fabbriche sul suolo africano, prevalentemente nel tessile e nelle calzature, da parte di aziende private che si sono inserite nel mercato della delocalizzazione.
Oggi i dati riguardanti l’economia del continente indicano una certa ripresa e le percentuali di incremento fanno colpo. Ma, purtroppo, la base di partenza su cui sono calcolate è molto, molto bassa.