Kenya, Post

La Cina si stufa e vuole di più

maggio 2, 2019
Nairobi.
Scrivo in diretta dalla capitale keniana, in cui mi trovo per un paio di settimane, come succede sempre ogni primavera e ogni autunno. Il mio soggiorno in questa megalopoli africana è legato alle attività della nostra ONG Alice for Children, che opera negli slum di Korogocho e Dandora da più di dieci anni e della quale, due volte l’anno, controllo e dirigo le attività direttamente qui a Nairobi.
In questi giorni, una notizia mi ha davvero stupito e colto impreparato: la Cina si è rifiutata di garantire un nuovo prestito di circa 3,5 miliardi di dollari al governo keniano per finanziare l’allungamento della ferrovia Mombasa – Nairobi, in particolare fino a Kisumu e al confine con l’Uganda. Uhuru Kenyatta, presidente eletto, è volato a Pechino insieme a Raila Odinga, il suo oppositore durante le elezioni, per ottenere un prestito di cui la metà sarebbe stata “gratis” e l’altra metà con gli interessi.
Il rifiuto di Xi Jinping è stato netto, anche se, come spesso si usa fare davanti a un insuccesso politico, subito negato dai due politici keniani appena rientrati in patria: durante una sontuosa conferenza stampa, tenutasi nella State House, Kenyatta ha riferito ai giornalisti locali che il tema non era in agenda. Mostruosa bugia. Persino i giornali locali, di solito poco critici verso la politica, hanno riportato la notizia con scarsa convinzione e qualche ironia.
Perché questa è una notizia e non è trascurabile.
Significa, infatti, che la Cina sta cambiando passo: dopo aver spopolato in Africa, regalando e facendosi pagare infrastrutture spesso malfatte, sta tirando i remi in barca nel continente e, soprattutto, in un paese che non ha ancora conquistato del tutto. La lettura di questo “piccolo” fatto può dare adito a molte interpretazioni.
La prima è quella a cui ho già accennato, ossia che gli investimenti della Cina in Africa saranno più controllati, graduali e rispettati, come a dire che i bei tempi passati sono finiti.
La seconda lettura è che la Cina stia facendo un salto di qualità: la nuova via della Seta apre a tanti altri paesi più ricchi, interessati ed interessanti. Meglio qualificare, quindi, gli investimenti dove hanno più valore, piuttosto che in un continente al quale nessuno presta attenzione.
La terza interpretazione è che la Cina, consolidato ormai il suo ruolo di polo egemone, inizierà una strategia di contrapposizione verso gli altri due poli, quello europeo e quello statunitense, e l’infiltrazione verso l’Italia della via della Seta e la nostra stranissima adesione ne sono un chiaro indizio (buona cosa per la Cina, non altrettanto buona per noi).
Se un cambio di passo è in atto, allora dovremmo aprirci a nuove opportunità: dovremmo, per così dire, rendere pan per focaccia, sostituendoci, in veste sia di europei che di italiani, alla Cina in Africa. Il continente economicamente vale poco, è vero, e il suo PIL è uguale a quello della Francia, ma, nei prossimi 30 anni, sarà il continente con il maggior numero di giovani in età da lavoro e con la maggior quantità di risorse minerarie, terra arabile e fonti per l’energia sostenibile.
Un pensiero andrebbe fatto, forse, in questa direzione, e non verso la rincorsa agli aiuti cinesi.

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