Post, Urbanizzazione

Migrare verso le città non significa lavoro: il passato dell’Italia vs il presente dell’Africa.

aprile 6, 2018
L’Italia ha vissuto il pieno della sua urbanizzazione negli anni ’70: dal Sud del Paese la gente migrava al Nord in cerca di lavoro e di condizioni di vita migliori.
Nel Meridione la terra non era più sufficiente a sfamare le famiglie ed era apparso all’orizzonte il miraggio del lavoro nelle fabbriche del Nord. Milano era una città industriale, unica nel suo centro e nelle sue periferie; Torino contava sulla Fiat, capace di offrire migliaia di posti di lavoro. Certo la strada era piena di sacrifici, di fatica e di case popolari. Il percorso era però anche segnato da persone eroiche, gente che aveva saputo rimboccarsi le maniche e costruirsi il proprio futuro. Persone che hanno potuto raggiungere il miraggio iniziale, il benessere.
La scintilla e il principale motore di quella migrazione urbana era il lavoro: dal Sud Italia le persone si spostavano verso condizioni che avrebbero permesso loro di costruirsi una casa, vivere in modo più degno.
Questa dinamica può essere trasferita nelle città africane fino a un certo punto: le megalopoli africane, al contrario di tante realtà ben più piccole italiane, non sono industriali.
Nei paesi in cui il petrolio è la risorsa principale, le uniche fabbriche attive sono le raffinerie, i centri dove il petrolio si estrae. E questi si trovano spesso in mare, nei delta dei fiumi come quello vicino a Lagos, o in aree comunque non prossime alle città. In altri paesi definiti in transition, come Kenya, Ghana, Sud Africa, Etiopia, una certa industrializzazione, specie di trasformazione, si trova ancora nelle città. Ma, come è avvenuto in Italia, rischia di essere delocalizzata per via dell’incremento di valore dei terreni ad uso residenziale o terziario.
Wangari Maathai diceva che le città africane non sono luoghi per lavorare, ma per mostrare la propria ricchezza, comprare, fare show off. In termini sociali, se così fosse, aumenterebbe esponenzialmente il lavoro terziario, soprattutto nelle città capitali.
Senza però, purtroppo, creare opportunità lavorative sufficienti.

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