Torre Maura, Tor Bella Monica, Tor di Nona: periferie di Roma, simili alle periferie di molte altre grandi città d’Italia. E forse alle periferie di tutto il mondo con le loro favelas, i loro slum e i loro ghetti.
I fatti riguardanti la cacciata dei Rom dell’altro giorno, con la capitolazione dell’amministrazione capitolina, hanno fatto gridare al fascismo e al razzismo; i giornali ci hanno inondato di descrizioni e di racconti, che saranno presto dimenticati e persino i registi ne hanno fatto dei film (anche carini, come “Come un gatto in tangenziale”).
Prima erano feudo della sinistra, poi della destra, poi dei 5 stelle, ora probabilmente dei fascisti duri e puri di Forza Nuova a Casa Pound, che, peraltro, nuotano bene in questo miscuglio di povertà, ignoranza, violenza, criminalità, in un contesto fatto di contaminazione tra neri e bianchi, tutti disperati.
Disperati sì, ma sempre con chi vince senza ottenere mai nulla, ricadendo elezione dopo elezione in un degrado sempre maggiore.
Capita a Roma, a Napoli, a Torino, meno a Milano (a breve spiegherò perché), a Palermo, a Bari. Ma questi ghetti urbani (ricordo e consiglio sempre il bel libro di Buccini “Ghetti”, che appunto li racconta per primo non solo in chiave sociologica ma anche politica) sono stati abbandonati da anni, da ogni amministrazione e da ogni partito, che li hanno lasciati in mano a bande, tossicodipendenza, criminalità e sottosviluppo. Ognuno ha tentato di accaparrarsi i voti e poi è scappato.
La domanda da farsi non riguarda lo stupore dell’accaduto misto alla presa di conoscenza di realtà sconosciute: la domanda da porsi è perché queste periferie disperate e contaminate sono sempre peggio e sono sempre più degradate. La risposta è nell’incompetenza, sia politica che amministrativa: lavorare nel degrado è difficile, costoso e spesso infruttuoso, ma dev’essere fatto e in modo costante, continuo, portando assistenza, iniezioni di sicurezza sociale e territoriale, servizi, ricostruzioni, urbanistica innovativa, idee tenaci.
Ma questo lavoro le amministrazioni non lo fanno o se danno il via a qualche iniziativa, questa viene smontata dalle amministrazioni successive. Se le città sono ben amministrate (come succede a Milano, qualunque sindaco ci sia stato), il fenomeno del degrado delle periferie esiste, ma è meno grave. Se l’amministrazione è cattiva, è un disastro (come succede a Roma, da Alemanno in poi).
E quindi la si butta in politica: oggi si grida al fascismo e ai saluti romani, che sono una lettura sbagliata e anche narcotica rispetto al problema. Oggi sono solo terreno della loro conquista e quando questo territorio verrà preso, sarà abbandonato al prossimo conquistatore. Perché? Perché in tempi come quelli di oggi, nessuno ha interesse a lavorare bene e per il cambiamento.
Che fare allora? Credo che il governo dovrebbe affidare per almeno un lustro le periferie delle grandi città a commissari prefettizi, dotati di obiettivi e risorse, se si vuole tentare un riscatto. E credo, soprattutto, che dovrebbe lasciare da parte e, anzi, dimenticare la politica.