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Parliamo di sanità e trasporti pubblici: in Africa non sono gratuiti.

giugno 4, 2018
La situazione sanitaria in Africa è particolarmente complessa e urgente: infezioni respiratorie, tubercolosi, malnutrizione, HIV, malaria, sono solo alcune tra le maggiori problematiche sanitarie che affliggono la popolazione locale, spesso impossibilitata ad accedere alle cure mediche necessarie.
Nel continente, infatti, la sanità è privata: se una persona entra in ospedale senza avere una polizza attiva, o sufficienti soldi per coprire il ricovero, viene rimandata a casa. Probabilmente morirà, ma non è nella capacità dello Stato farsene carico.
Certo, questo succede anche in America, con un fattore di fondo che fa la differenza: nel continente africano la maggior parte della popolazione non è stata messa nelle condizioni di farcela. Spesso i singoli governi locali non hanno saputo garantire alla loro gente nemmeno le risorse e i servizi minimi iniziali per far sì che si creasse un percorso di autonomia.

Nell’Africa sub-sahariana, che da sola raccoglie il 24% della diffusione delle malattie indicate, viene investito in spesa sanitaria l’1% del PIL. Tanzania, Ruanda, Botswana e Burkina Faso investono qualcosa in più – a volte arrivano al 15% del PIL –, ma restano comunque ad un livello insufficiente, non in grado di acquistare macchinari sanitari dai costi occidentali. La tecnologia, e lo vedremo più avanti, potrebbe rappresentare una via d’uscita in questo percorso a ostacoli in cui, a rimanere indietro, sono i più deboli.
Anche il settore dei trasporti in Africa è spesso gestito privatamente, con il consenso della politica locale che ha i suoi interessi nel regolarne il funzionamento da dietro le quinte.
Vale la pena fare un esempio su tutti: il servizio di trasporto cittadini in Kenya. Tutti gli spostamenti avvengono tramite i così detti “matatu”, piccoli van Toyota da 15 posti che raccolgono i passeggeri lungo un itinerario prestabilito, secondo una pianificazione, invece, del tutto imprevedibile. Si fermano in stazioni caotiche, viaggiano lungo strade che, con le piogge, divengono fango. Incurante dei suoi limiti, il matatu sfreccia tre le vie di Nairobi nel traffico più impensabile, cercando di arrivare a destinazione il prima possibile. Il guadagno giornaliero di conducente e bigliettaio dipende infatti dal numero di corse effettuate: più tratte riusciranno a gestirsi nell’arco delle 24 ore, più alto sarà il numero di monete messe in tasca a fine giornata. Certo il sistema non premia la qualità del viaggio e la prudenza: il numero di persone a bordo viene spesso aumentato a dismisura, lasciando ai passeggeri poco spazio per respirare; il desiderio di guadagnare sulle corse spinge il conducente a correre nel traffico, insistendo spesso su punti di snodo strategici, contribuendo alla creazione di ingorghi difficili da superare.

Un matatu nelle strade di Nairobi.

Un sistema pubblico di trasporti efficiente sarebbe vitale per il futuro delle megalopoli africane, considerando anche le sue implicazioni nell’economia della città stessa e nella sua vivibilità.
Per il momento, però, il tema non sembra appassionare i grandi leader al potere: i trasporti sono tutti su gomma, nessuno valuta metro o sistemi underground, per non parlare delle metropolitane leggere, come quelle overfly costruite in America negli anni ‘60 e ’70, di cui non si vede neanche un rendering pubblicitario.
Una grossa assenza che si nota anche negli interventi politici: il trasporto pubblico dovrebbe rappresentare il servizio statale per eccellenza, una priorità da affrontare per lo sviluppo del territorio e per il benessere dei cittadini che lo abitano. In Africa, evidentemente, non è un tema degno nemmeno delle campagne elettorali.

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