Post, Sviluppo Possibile

Le grandi risorse africane: la terra.

giugno 20, 2018
Torniamo a parlare del possibile sviluppo del continente africano.
In Africa due persone su tre sono agricoltori e di questi il 50% è costituito da donne. Nonostante questo, l’attività agricola non ha vissuto nel tempo grandi investimenti: solo il 25% della terra arabile sub-sahariana è utilizzata e solo il 7% è irrigata; al contrario di quanto accade in Asia, dove la terra irrigata arriva al 28%, mentre nel mondo in generale si sfiora il 20%.

Culturalmente, secondo quanto raccontato dal premio Nobel Wangari Maathai, gli africani hanno ignorato il lavoro agricolo, perché considerato degradante. Certo, lavorare la terra nella fascia sub-sahariana non è cosa semplice, emergono diverse difficoltà tra cui la disponibilità d’acqua, l’intensificarsi di problematiche climatiche, la difficoltà di trovare con facilità vie di accesso ai mercati. Nel complesso, le aziende agricole africane sono rappresentate per l’80% da piccoli agricoltori, che non dispongono di risorse tali da affrontare queste condizioni avverse.
L’Africa quindi, nonostante le terre coltivabili di cui dispone, non sfama la sua gente. Al limite sfama i proprietari dei poderi.
Le importazioni di prodotti agricoli sono alte: si importa per 40 miliardi di dollari, si esporta per 15. Vengono acquistati dall’estero cereali, mais, riso, zucchero, oli vegetali, carne. Dall’altro, lato vengono esportati caffè, cacao, spezie, tabacco, frutta e verdura, fiori.

In accordo alle stime raccolte da Federico Bonaglia e Lucia Wegner nel libro “Africa, un continente in movimento” la sola Guinea Savannah, un’area che si stende per circa 600 milioni di ettari dal Senegal alla Nigeria, potrebbe essere coltivata e arrivare ad offrire una quantità di grano doppia rispetto a quella prodotta in tutto il mondo. Ad oggi questa zona è coltivata per solo il 10% della sua estensione.
La produttività inoltre è scarsa in tutta l’Africa sub-sahariana, dove si produce una tonnellata di cereali per ettaro, contro le 3 tonnellate per ettaro prodotte negli altri Paesi in via di sviluppo e le 10 in Italia.
Per di più il suolo, spesso, non è messo a riposo e viene quindi impoverito e danneggiato, compromettendone la produttività futura.
Parlare di agricoltura in Africa significa anche dover affrontare nuove forme di neocolonialismo, primo fra tutti il fenomeno del “land grabbing”, termine con il quale si indica la corsa ad accaparrarsi le terre da parte di potenze straniere, che esercitando la propria supremazia economica si aggiudicano il suolo migliore, sfruttandolo spesso per monocolture.
Non meno importante è il problema del trasporto e dello spreco alimentare: ad oggi si stima una perdita di grano pari a 4 miliardi di dollari l’anno, quota che, se correttamente utilizzata, potrebbe sfamare 50 milioni di persone. Non ci sono inoltre strade adeguate, né veicoli dedicati al trasporto di alimenti che riescano a garantire la catena del freddo.
Occorrerebbero, forse, imprese agricole un po’ più strutturate e consapevoli, formate per il lavoro che devono svolgere e in grado di potenziare la produttività dei territori su cui investono. Servirebbero servizi adeguati alla domanda di cibo, in continua crescita.
In una parola, servirebbero investimenti statali dedicati alla ricerca, ad offrire assistenza e formazione agli agricoltori, nuovi metodi di irrigazione e costruzione di strade valide anche nelle aree rurali.
Tuttavia, nonostante questo quadro impietoso, esiste una possibilità inespressa che, se attuata, potrebbe sviluppare un grande potenziale.

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